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lunedì 17 dicembre 2007

Baudrillard di Jean Baudrillard

La Fée Verte 04-04-2007, 17.29.59 Orazio Converso, su Jean Baudrillard

* La cultura dell'informazione e della comunicazione è una cultura pornografica. Voglio dire che è una cultura che non ha più segreti. E' a questo titolo che può universalizzarsi. Qualcuno tempo fa faceva notare giustamente che la letteratura pornografica è la sola letteratura universale. Non è poi tanto una questione di sesso. Lo stesso porno è diventato culturale, perché no? Il che semplicemente significa che l'estensione universale della cultura è in se stesso pornografica. Il sesso, anche nelle forme più scabrose, non è mai osceno: lo diventa solo la sua estensione universale, e la piattezza che ne risulta, quando la sessualità diventa un modo di comunicazione. La pornografia, l'oscenita è una caratteristica anche della banalità. Caratterizzano tutto ciò che passa da una circolazione segreta a una circolazione manifesta.

* Il termine di «identità culturale» dunque non ha senso. Poichè la cultura è un patto simbolico, l'identità non è che una constatazione di esistenza. L'una - dato che è un patto collettivo - è per sua essenza inalienabile e indefettibile. L'altra, dato che è solo un contratto, può ogni momento sciogliersi e alienarsi. La cultura è una forma di gloria: mette in causa la sovranità. L'identità è un valore povero: la sua rivendicazlone ha sempre qualcosa di vano e di inutile. Essa risulta dalla colonizzazione degli spazi mentali e psicologici, e dalla loro decolonizzazione mancata.

* A cosa serve voler essere «se stessi»? E'un sogno di un'assurdità patetica. Ci si batte per questo quando si è perduto ogni singolarità (e la cultura è giustamente la forma estrema di singolarità di una società). E' un'etichetta di esistenza, di pura presenza. E tutte le nostre energie (e quelle di interi popoli e minoranze) si concentra oggi su questa affermzione derisoria, questa constatazione senza orgoglio: io sono, esisto, sono libero, vivo, mi chiamo tale, sono europeo! Bisogna dare la prova dell'evidenza, e di colpo tutto ciò non è più evidente per niente. La forma dell'identità si stravolge surrettiziamente e, tempo di crederci o di persuaderne gli altri, non esiste più.

* L'identità è come la firma. Non vale più della firma in basso in un quadro. Com'e noto oggi purtroppo la firma spesso assume più importanza del quadro, perché ne rende materiale il valore culturale (e sovente finanziario). Così l'identità serve a materializzare l'essere, o l'individua come valore di scambio universale. Ma la cultura, come d'altronde l'individuo, non è un valore di scambio universale. Ogni tentativo di materializzarla in quanto tale (e dunque ogni «politica culturale», anche quella europea) è un controsenso. La cultura, non diversamente della potenza o della sovranità, non può essere materializzata, può solo attualizzarsi.

* Una volta che la potenza si materializza, e che la cultura diventa l'immagine materializzata di questa potenza, è finita. «Ciò che scalza e che finisce le comunità politiche» ha scritto Hannah Arendt «è la perdita di potenza e l'impotenza finale. E non si può immagazzinare la potenza (e la cultura) e conservarla per i casi di urgenza, come gli strumenti di violenza: essa esiste solo in atto. Il potere che non èattualizzato scompare e la Storia prova con una folla di esempi che le piu grandi ricchezze materiali possono compensare questa perdita...».

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