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martedì 1 giugno 2010
Liceo
La poesia che segue ce la spedì Orazio Converso , matematico alternativo e poeta l’anno che fu trasferito . La dedico a tutti quei professori che riescono ad insegnare qualcosa , non importa che cosa ma comunque qualcosa che arrivi giù in fondo, si sedimenti, si riproduca come un’ eco , a quegli insegnanti che sanno insegnare il desiderio di conoscere, il piacere di sapere . La dedico pure a quegli alunni capaci di provare questi desideri e questi piaceri , insieme a tutti gli altri della loro giovinezza, ragazzi fortunati . La dedico infine a quegli insegnanti e a quegli alunni che tengono in bocca, qui a scuola , sul fiore delle loro labbra un sogno di libertà , la mite sapienza del “ volemose bene “ . Paola Rocchi – Maturità del 1983 , Professoressa in questo Liceo
“E’ citazione , ormai , non più eccitazione di mattina presto!
Perdonate, quindi, agli odierni maestri di sapere concedete
la mediocrità del lavoro quotidiano
strappatevi la testa e gettatela in giardino
dietro ai cipressi
dimenticate voi stessi
scomparite nelle classi
e andate in controfigura a Canossa.
Non ho nulla da dirvi, mi dispiace :
E’ vero
il potere che non c’era s’è disperso,
quel po’ di sapere che ci era utile
e che conserviamo; la saggezza mite
del “ volemose bene”
e, vi dico , ancora in bocca
un sapore impossibile di libertà”
Quel sapore impossibile di libertà
Un ricordo dell’insegnate Rocchi Paola, in omaggio ai trenta anni della scuola.
Quando, nell’estate di qualche anno fa, andai al Provveditorato di Roma per sapere a quale scuola ero stata destinata, in quale Istituto avrei trascorso il mio primo anno di insegnante di liceo, uscii che avevo le lacrime agli occhi. Per la gioia, si è soliti dire. Non esattamente, perché a volte capita anche di piangere dal gran ridere: Liceo Scientifico “Galilei” di S. Marinella, c’era scritto su quei due fogli. Da non credere. Ogni tanto la vita non sa proprio che inventarsi per metterti di buon umore; ero stata studentessa in quel liceo, ora ci tornavo da prof. Una cosa speciale. Come speciali sono stati i miei anni al “Galilei” di S. Marinella. Se, per l’occasione, provo a fissare qualche immagine in un ricordo, me ne vengono due, che sono ricordi di due persone ma anche di due spazi di questo nostro liceo, ora diversi da allora. Innanzi tutto il cortile: al posto del pavimento c’era la ghiaia che scricchiolava sotto i nostri piedi di adolescenti (sempre pieni di cose da dirci,al mattino presto, a ricreazione, al cambio dell’ora) e a delimitare il cortile stesso, dove ora comincia il marciapiede della nuova sede, una fila di alti,verdissimi,profumati cipressi. Il ricordo (un ricordo piccolo,ma a volte è proprio nei piccoli ricordi che si concentra il senso delle cose che facciamo,delle persone che siamo) il ricordo, dicevo, è questo: un giorno, all’ultima ora, usciamo fuori e aspettiamo nel giardino di ghiaia e cipressi il nostro prof di matematica. Poco dopo arriva e cominciamo piacevolmente a chiacchierare, noi seduti sugli scalini, lui in piedi: discutiamo sul concetto di infinito. La discussione va avanti per buoni quaranta minuti e poi scopriamo l’equivoco: il nostro professore si era dimenticato di aver un’ora con noi e pensava che fossimo lì in virtù di un buco. Noi invece pensavamo di essere restati lì in virtù di una piacevole lezione all’aperto sul concetto di infinito. Niente di più normale con lui, prof di matematica al biennio, matematico alternativo e poeta. A quei tempi ricordo che alcune famiglie avevano da obiettare sul suo metodo. Forse perché non ci costringeva a estenuanti megaespressioni, utili al fine di acquisire manualità algebrica, presumo, oltre che a soddisfare le ansie di “programma” di certi. Gliene sono grata. A che mai poteva servirmi nella vita la manualità algebrica? Con lui ho imparato altre cose. Per esempio ho imparato che la matematica è davvero il linguaggio con cui è scritto il gran libro dell’universo (Galilei, ancora e sempre Galilei…), che non è applicazione di formule già date, ma ricerca di soluzioni; che è anche dubbio e paradosso. Ho imparato che due rette parallele s’ incontrano finalmente in un punto ( beate loro ) e che il pelide Achille , per quanto veloce , non raggiungerà mai la lenta tartaruga ( ben gli sta ) .
Il secondo ricordo è legato ad un altro spazio del nostro liceo : quella che adesso è la sala insegnanti dell’edificio vecchio , quella che da sul terrazzino , per capirci . Li con i miei compagni ho frequentato il quarto anno . Una roba da non credere : quindici , sedici persone con il professore , sedici banchi e sedici sedie in un buco di stanza . Eravamo un corpo unico e compatto di gomiti, teste, quaderni .Quando qualcuno volava uscire o entrare, dovevamo alzarci tutti e manovrare insieme l’operazione . Per certi versi anche uno spasso . Io comunque avevo conquistato il posto vicino ( per meglio dire incollato ) alla porta finestra, con vista mare strepitosa. E di questo posto , in particolare io ricordo l’orario del Lunedì : Matematica – Chimica – Filosofia – Religione – Filosofia .Una bella parte dello scibile umano andava in scena di Lunedì , in quel buco inzeppato di diciottenni. Il professore di filosofia era un uomo sui quaranta alto ed esile, barba e capelli lunghi, riservato e meditabondo . Un tipo proprio perfettamente filosofico . Si sistemava come poteva dietro il suo banchetto , un po’ di sbieco e cominciava qualcosa che non era mai veramente una spiegazione , mai veramente un ‘ interrogazione, ma piuttosto sempre uno sgranare di pensieri , i suoi ed i nostri . E mentre parlava ogni tanto faceva da solo silenzio , concentrato ad inseguire un pensiero, mentre noi , mentre io concentrata aspettavo . Dopo di lui arrivava poi il nostro professore gesuita , un sacerdote giovane ed agguerrito . E non era un’ora di pausa , era proprio un’ora di lezione, tutti insieme li dentro ad alitarci come il bue e l’asinello , a parlare di Dio con i tremori , gli slanci o furibondi dubbi che si possono nutrire solo a diciotto anni. E così quando tornava il nostro Socrate , i discorsi della terza ora si intrecciavano con quelli della quarta per diventare discorsi della quinta , magicamente senza stanchezza, perché io almeno , con quel posto vicino alla finestra , sentivo i miei pensieri morbidamente galleggiare nell’azzurro , nell’azzurro degli occhi del mio professore di filosofia , del cielo che mi scorreva a lato , del mare che rullava in silenzio , laggiù.
“E’ citazione , ormai , non più eccitazione di mattina presto!
Perdonate, quindi, agli odierni maestri di sapere concedete
la mediocrità del lavoro quotidiano
strappatevi la testa e gettatela in giardino
dietro ai cipressi
dimenticate voi stessi
scomparite nelle classi
e andate in controfigura a Canossa.
Non ho nulla da dirvi, mi dispiace :
E’ vero
il potere che non c’era s’è disperso,
quel po’ di sapere che ci era utile
e che conserviamo; la saggezza mite
del “ volemose bene”
e, vi dico , ancora in bocca
un sapore impossibile di libertà”
Quel sapore impossibile di libertà
Un ricordo dell’insegnate Rocchi Paola, in omaggio ai trenta anni della scuola.
Quando, nell’estate di qualche anno fa, andai al Provveditorato di Roma per sapere a quale scuola ero stata destinata, in quale Istituto avrei trascorso il mio primo anno di insegnante di liceo, uscii che avevo le lacrime agli occhi. Per la gioia, si è soliti dire. Non esattamente, perché a volte capita anche di piangere dal gran ridere: Liceo Scientifico “Galilei” di S. Marinella, c’era scritto su quei due fogli. Da non credere. Ogni tanto la vita non sa proprio che inventarsi per metterti di buon umore; ero stata studentessa in quel liceo, ora ci tornavo da prof. Una cosa speciale. Come speciali sono stati i miei anni al “Galilei” di S. Marinella. Se, per l’occasione, provo a fissare qualche immagine in un ricordo, me ne vengono due, che sono ricordi di due persone ma anche di due spazi di questo nostro liceo, ora diversi da allora. Innanzi tutto il cortile: al posto del pavimento c’era la ghiaia che scricchiolava sotto i nostri piedi di adolescenti (sempre pieni di cose da dirci,al mattino presto, a ricreazione, al cambio dell’ora) e a delimitare il cortile stesso, dove ora comincia il marciapiede della nuova sede, una fila di alti,verdissimi,profumati cipressi. Il ricordo (un ricordo piccolo,ma a volte è proprio nei piccoli ricordi che si concentra il senso delle cose che facciamo,delle persone che siamo) il ricordo, dicevo, è questo: un giorno, all’ultima ora, usciamo fuori e aspettiamo nel giardino di ghiaia e cipressi il nostro prof di matematica. Poco dopo arriva e cominciamo piacevolmente a chiacchierare, noi seduti sugli scalini, lui in piedi: discutiamo sul concetto di infinito. La discussione va avanti per buoni quaranta minuti e poi scopriamo l’equivoco: il nostro professore si era dimenticato di aver un’ora con noi e pensava che fossimo lì in virtù di un buco. Noi invece pensavamo di essere restati lì in virtù di una piacevole lezione all’aperto sul concetto di infinito. Niente di più normale con lui, prof di matematica al biennio, matematico alternativo e poeta. A quei tempi ricordo che alcune famiglie avevano da obiettare sul suo metodo. Forse perché non ci costringeva a estenuanti megaespressioni, utili al fine di acquisire manualità algebrica, presumo, oltre che a soddisfare le ansie di “programma” di certi. Gliene sono grata. A che mai poteva servirmi nella vita la manualità algebrica? Con lui ho imparato altre cose. Per esempio ho imparato che la matematica è davvero il linguaggio con cui è scritto il gran libro dell’universo (Galilei, ancora e sempre Galilei…), che non è applicazione di formule già date, ma ricerca di soluzioni; che è anche dubbio e paradosso. Ho imparato che due rette parallele s’ incontrano finalmente in un punto ( beate loro ) e che il pelide Achille , per quanto veloce , non raggiungerà mai la lenta tartaruga ( ben gli sta ) .
Il secondo ricordo è legato ad un altro spazio del nostro liceo : quella che adesso è la sala insegnanti dell’edificio vecchio , quella che da sul terrazzino , per capirci . Li con i miei compagni ho frequentato il quarto anno . Una roba da non credere : quindici , sedici persone con il professore , sedici banchi e sedici sedie in un buco di stanza . Eravamo un corpo unico e compatto di gomiti, teste, quaderni .Quando qualcuno volava uscire o entrare, dovevamo alzarci tutti e manovrare insieme l’operazione . Per certi versi anche uno spasso . Io comunque avevo conquistato il posto vicino ( per meglio dire incollato ) alla porta finestra, con vista mare strepitosa. E di questo posto , in particolare io ricordo l’orario del Lunedì : Matematica – Chimica – Filosofia – Religione – Filosofia .Una bella parte dello scibile umano andava in scena di Lunedì , in quel buco inzeppato di diciottenni. Il professore di filosofia era un uomo sui quaranta alto ed esile, barba e capelli lunghi, riservato e meditabondo . Un tipo proprio perfettamente filosofico . Si sistemava come poteva dietro il suo banchetto , un po’ di sbieco e cominciava qualcosa che non era mai veramente una spiegazione , mai veramente un ‘ interrogazione, ma piuttosto sempre uno sgranare di pensieri , i suoi ed i nostri . E mentre parlava ogni tanto faceva da solo silenzio , concentrato ad inseguire un pensiero, mentre noi , mentre io concentrata aspettavo . Dopo di lui arrivava poi il nostro professore gesuita , un sacerdote giovane ed agguerrito . E non era un’ora di pausa , era proprio un’ora di lezione, tutti insieme li dentro ad alitarci come il bue e l’asinello , a parlare di Dio con i tremori , gli slanci o furibondi dubbi che si possono nutrire solo a diciotto anni. E così quando tornava il nostro Socrate , i discorsi della terza ora si intrecciavano con quelli della quarta per diventare discorsi della quinta , magicamente senza stanchezza, perché io almeno , con quel posto vicino alla finestra , sentivo i miei pensieri morbidamente galleggiare nell’azzurro , nell’azzurro degli occhi del mio professore di filosofia , del cielo che mi scorreva a lato , del mare che rullava in silenzio , laggiù.
sabato 4 luglio 2009
venerdì 28 dicembre 2007
Derrida
On 2007-12-28 13:57, ashcroft wrote:
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Tracked on Tuesday, May 11, 2004 at 01:47 AM
lunedì 17 dicembre 2007
Radio Box
Radio Box alla Biblioteca Alessandrina
VII Settimana della Cultura
Biblioteca Universitaria Alessandrina
lunedì 3 aprile 2006
Sala Mostre, ore 17.00
In occasione di "Radio box: voci e immagini dei poeti dall’archivio, della Biblioteca Universitaria Alessandrina", Maria Concetta Petrollo Pagliarani, direttrice della BUA e l’emittente telematica uniet.it organizzano una rassegna di video e poesia dal vivo.
Coordina: Orazio Converso.sabato 20 ottobre 2007
I walked in the public gardens
lì was Easter as I walked in the public gardens,
Camminavo a Pasqua lungo i giardini pubblici
Hearing the frogs exhaling from the pond,
ascoltando le rane esalare dallo stagno,
Watching traffic of magnificent cloud
osservando il variare d'una magnifica nuvola
Moving without anxiety on open sky-
che si moveva senz'ansia nel cielo aperto -
Season when lovers and writers find
la stagione in cui amanti e scrittori trovano
An altering speech far altering things,
un discorso che muta per cose in mutamento,
An emphasis on new names, on the arm
un'enfasi sui nomi nuovi, sul braccio
A fresh hand with fresh power.
una mano fresca con un fresco potere.
But thinking so I carne at once
A questo pensando venni improvvisamente
Where solitary man sal weeping on a bench,
dove un uomo solo piangeva su una panchina,
Hanging bis head down, with bis mouth distorted
la testa abbandonata, la bocca distorta,
Helpless and ugly as an embryo chicken.
brutto e indifeso come un pulcino in embrione.
So I remember all of those whose death
Così ricordo tutti coloro la cui morte
Is necessary condition of the season's putting forth,
è condizione necessaria al buttare della stagione,
Who, sorry in this lime, look only back
che, ora dolenti, guardano solo indietro
To Christmas intimacy, a winter dialogue
all'intimità del Natale, un dialogo dell'inverno
Fading in silence, leaving them in tears.
che si perde nel silenzio, lasciandoli in lacrime.
And recent particulars come to mind;
E particolari recenti mi vennero alla memoria:
The death by cancer of a once hated master,
la morte per cancro di un maestro un tempo,odiato,
A friend's analysis of bis own failure,
l'analisi di un amico sul proprio fallimento
Listened to at intervals throughout the winter
ascoltata a intervalli lungo tutto l'inverno,
At different hours and in different rooms.
in ore e in stanze diverse.
But always with success of others far comparison,
Ma sempre in paragone al successo degli altri,
The happiness, far instance, of my friend Kurt Groote,
la felicità, per esempio, del mio amico Kurt Groote,
Absence of fear in Gerhart Meyer
l'assenza di paura in Gerhart Meyer
From the sea, the truly strong mano
verso il mare, l'uomo davvero forte.
A ' bus ran home then, on the public ground
Quindi un autobus corse a casa, sul pubblico terreno
Lay fallen bicycles like huddled corpses:
giacevano biciclette come cadaveri ammucchiati:
No chattering valves of laughter emphasised
nessuna ciangottante valvola di ilarità accentuava
(né l'orlo della gonna strascicato d'un gesto turbava )
Camminavo a Pasqua lungo i giardini pubblici
Hearing the frogs exhaling from the pond,
ascoltando le rane esalare dallo stagno,
Watching traffic of magnificent cloud
osservando il variare d'una magnifica nuvola
Moving without anxiety on open sky-
che si moveva senz'ansia nel cielo aperto -
Season when lovers and writers find
la stagione in cui amanti e scrittori trovano
An altering speech far altering things,
un discorso che muta per cose in mutamento,
An emphasis on new names, on the arm
un'enfasi sui nomi nuovi, sul braccio
A fresh hand with fresh power.
una mano fresca con un fresco potere.
But thinking so I carne at once
A questo pensando venni improvvisamente
Where solitary man sal weeping on a bench,
dove un uomo solo piangeva su una panchina,
Hanging bis head down, with bis mouth distorted
la testa abbandonata, la bocca distorta,
Helpless and ugly as an embryo chicken.
brutto e indifeso come un pulcino in embrione.
So I remember all of those whose death
Così ricordo tutti coloro la cui morte
Is necessary condition of the season's putting forth,
è condizione necessaria al buttare della stagione,
Who, sorry in this lime, look only back
che, ora dolenti, guardano solo indietro
To Christmas intimacy, a winter dialogue
all'intimità del Natale, un dialogo dell'inverno
Fading in silence, leaving them in tears.
che si perde nel silenzio, lasciandoli in lacrime.
And recent particulars come to mind;
E particolari recenti mi vennero alla memoria:
The death by cancer of a once hated master,
la morte per cancro di un maestro un tempo,odiato,
A friend's analysis of bis own failure,
l'analisi di un amico sul proprio fallimento
Listened to at intervals throughout the winter
ascoltata a intervalli lungo tutto l'inverno,
At different hours and in different rooms.
in ore e in stanze diverse.
But always with success of others far comparison,
Ma sempre in paragone al successo degli altri,
The happiness, far instance, of my friend Kurt Groote,
la felicità, per esempio, del mio amico Kurt Groote,
Absence of fear in Gerhart Meyer
l'assenza di paura in Gerhart Meyer
From the sea, the truly strong mano
verso il mare, l'uomo davvero forte.
A ' bus ran home then, on the public ground
Quindi un autobus corse a casa, sul pubblico terreno
Lay fallen bicycles like huddled corpses:
giacevano biciclette come cadaveri ammucchiati:
No chattering valves of laughter emphasised
nessuna ciangottante valvola di ilarità accentuava
(né l'orlo della gonna strascicato d'un gesto turbava )
martedì 31 luglio 2007
Cleò dalle 5 alle 7
Cléo de 5 a 7 / Cleo from 5 to 7
Directed By : Agnes Varda
Language : French
Subtitles : English
File Name .............: Cléo de 5 a 7 - Agnes Varda - 1962.avi
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Runtime (# of frames) .: 01:29:48 (129181 frames)
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Video Bitrate .........: 981 kb/s
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Audio Codec ...........: 0x0055(MP3, ISO) MPEG-1 Layer 3
Sample Rate ...........: 48000 Hz
Audio bitrate .........: 93 kb/s [1 channel(s)] VBR audio
Interleave ............: 83 ms
No. of audio streams ..: 1
AMG Review :
Cleo From 5 to 7 (Cleo de cinq a sept), per its title,
concentrates on two hours in the life of a woman. Those
hours are desperate ones, in that Cleo, a pop singer,
awaits the results of her tests for cancer. Director
Agnes Varda stages the film in "real" rather than
subjective time, its various episodes divided into
chapters, using significant Tarot cards. During the
allotted time, Cleo visits her friends, tries to
sing her worries away, spends money, and cries.
Writer/director Agnes Varda's Cléo de 5 α 7
is one of the more unassuming works in the
French New Wave -- it has neither the historical
gravity of, say, Alain Resnais's Hiroshima Mon
Amour nor the shock value of Jean-Luc Godard's
A Bout de Souffle -- but in its own quiet way,
it offers offers a meticulous record of one
woman's capacity to observe, dream, and feel.
In near real-time, we follow pop singer Cléo
(Corrine Marchand) as she waits for her doctor's
verdict on a cancer test; though the subject
matter is heart-rending, Varda's athletic
direction prevents the film from becoming
a cloying weepie. In true New Wave fashion,
she incorporates any technique that suits
her needs: a meandering soundtrack that
picks up ancillary characters' conversations;
subjective point-of-view shots; titles that
separate the film into "chapters"; and
documentary-style snatches of street life.
Instead of cluttering the film, Varda's
flourishes have a breezy, existential
quality that underscores Cléo's impending
news without trivializing her predicament.
Marchand aids the director immensely; her
intuitive performance suggests a brainier
Marilyn Monroe afflicted with spiritual malaise.
lunedì 30 luglio 2007
Insopportabile distrazione
1. "(...) Quando si fa un mestiere che si fonda
sulla capacità personale di
ottenere e mantenere attenzione,
la distrazione, compatta e diffusa com'è a
livello planetario, è p
ro la quale si è
chiamati a combattere. La distrazione,
alla quale mi capita spesso di
pensare come a un fortissimo
rumore di fondo, è la barriera attraverso la
quale lo scrittore, il pittore, il musicista
e il pensatore devono aprirsi
un varco. La distrazione è il confine
entro il quale opera il difficile
tentativo di indurre gli altri a
prestare attenzione all'essenziale, nel
momento in cui questa attenzione è
sollecitata da ogni parte. Uno scrittore,
dunque, si trova a competere non tanto
con altri scrittori quanto con tutti
i grandi poteri politici e sociali,
ciascuno dei quali reclama
incessantemente una porzione
della nostra mente (...)"
2. "(...)la poesia nasce da
"un'emozione ricreata in tranquillità". Ma in
questo vasto terreno comune di turbolenza
la mente è obbligata a volare
molto lontano per poter trovare
un posto davvero tranquillo dove fermarsi.
L'emozione diviene instabile, là dove
la distrazione è così diffusa. (...)"
3. "(...) I media, con la loro misteriosa tecnologia,
possono fare ben poco per
insegnarci a leggere nei fatti.
Fanno parte anch'essi dell'eccitazione che
generano. Non sono in grado di fare luce
sulle enormità che riferiscono.
(...) Noi non siamo stimolati o incoraggiati
a trarre da essi alcun
significato, e non possiamo aspettarci
che i media educhino il pubblico
seguendo fino in fondo gli sviluppi
di queste vicende. (...)"
4. "(...) Non spetta a scrittori o pittori
salvare la civiltà, ed è uno
sciocco errore il supporre che essi
possano o debbano fare alcunché di
diverso da ciò che riesce loro meglio
di ogni altra cosa. Il marinaio
impedisce all'invitato di farsi distrarre
dal matrimonio. Lo costringe a
fermarsi con lo scintillio del suo sguardo.
L'invitato alle nozze ascolta,
pur controvoglia, e quando il mattino
dopo si sveglierà sarà un uomo più
triste e più saggio. Ecco un efficace
paradigma del potere del poeta. Lo
scrittore non può fermare nel cielo
il sole della distrazione, né dividere i
suoi mari, né colpire la roccia finché
ne zampilli acqua. Può però, in
determinati casi, interporsi tra
i folli distratti e le loro distrazioni, e
può farlo spalancando un altro mondo
davanti ai loro occhi; perché compito
dell'arte è la creazione di un nuovo mondo."
Saul Bellow
sulla capacità personale di
ottenere e mantenere attenzione,
la distrazione, compatta e diffusa com'è a
livello planetario, è p
ro la quale si è
chiamati a combattere. La distrazione,
alla quale mi capita spesso di
pensare come a un fortissimo
rumore di fondo, è la barriera attraverso la
quale lo scrittore, il pittore, il musicista
e il pensatore devono aprirsi
un varco. La distrazione è il confine
entro il quale opera il difficile
tentativo di indurre gli altri a
prestare attenzione all'essenziale, nel
momento in cui questa attenzione è
sollecitata da ogni parte. Uno scrittore,
dunque, si trova a competere non tanto
con altri scrittori quanto con tutti
i grandi poteri politici e sociali,
ciascuno dei quali reclama
incessantemente una porzione
della nostra mente (...)"
2. "(...)la poesia nasce da
"un'emozione ricreata in tranquillità". Ma in
questo vasto terreno comune di turbolenza
la mente è obbligata a volare
molto lontano per poter trovare
un posto davvero tranquillo dove fermarsi.
L'emozione diviene instabile, là dove
la distrazione è così diffusa. (...)"
3. "(...) I media, con la loro misteriosa tecnologia,
possono fare ben poco per
insegnarci a leggere nei fatti.
Fanno parte anch'essi dell'eccitazione che
generano. Non sono in grado di fare luce
sulle enormità che riferiscono.
(...) Noi non siamo stimolati o incoraggiati
a trarre da essi alcun
significato, e non possiamo aspettarci
che i media educhino il pubblico
seguendo fino in fondo gli sviluppi
di queste vicende. (...)"
4. "(...) Non spetta a scrittori o pittori
salvare la civiltà, ed è uno
sciocco errore il supporre che essi
possano o debbano fare alcunché di
diverso da ciò che riesce loro meglio
di ogni altra cosa. Il marinaio
impedisce all'invitato di farsi distrarre
dal matrimonio. Lo costringe a
fermarsi con lo scintillio del suo sguardo.
L'invitato alle nozze ascolta,
pur controvoglia, e quando il mattino
dopo si sveglierà sarà un uomo più
triste e più saggio. Ecco un efficace
paradigma del potere del poeta. Lo
scrittore non può fermare nel cielo
il sole della distrazione, né dividere i
suoi mari, né colpire la roccia finché
ne zampilli acqua. Può però, in
determinati casi, interporsi tra
i folli distratti e le loro distrazioni, e
può farlo spalancando un altro mondo
davanti ai loro occhi; perché compito
dell'arte è la creazione di un nuovo mondo."
Saul Bellow
Al fiume

In questa performance si mescolano, senza confondersi, scritture invisibili: la scrittura video, la scrittura cinematografica e la scrittura teatrale. "Materia" della performance è la poesia "Il Fiume" di Corrado Costa, che interagisce con la luce elettronica del video, con la luce chimica del cinema e con la luce "naturale" del teatro. Tre sistemi che interagiscono si trovano anche nel cervello umano (Mclean). Sistemi comunicanti ma dotati ognuno di peculiari caratteristiche. Al centro della scatola cranica è il cervello rettile, l'antico, dove dimorano i bisogni basilari. Rettile è il video: scarnifica la poesia per ricondurla al basilare e ne congela il contenuto. Il cervello rettile è avvolto, avviluppato dal sistema limbico, il generatore di emozioni. A lui si devono paura, odio, amore ... Limbico è il cinema: aggiungendo mistero e proliferando in ambiguo, amplifica la poesia e ne moltiplica il contenuto. Sui due la tortuosa neocorteccia, privilegio dell'umano, associa, con l'ausilio dei sensi, l'interno all'esterno, la mente con l'universo. Mescola le informazioni provenienti dal cieco rettile e dal sordo limbico con quelle degli occhi, delle orecchie, del naso, della lingua e della pelle, e genera idee. Così è il teatro: alchemico, assorbe video, cinema e poesia per proliferare non in etici ideali, che null'altro sono che idealismo morto, ma idee.
domenica 29 luglio 2007
il Poeta d'Alessandria

fino a quando, quanto devo restare qui'
recluso in questa tetra periferia sfiorita della mente qualunque?
Dovunque guardi vedo solo macerie nere della mia vita.
Sono tanti anni, tanti, che sono qui,
spendere e spandere, senza un costrutto.
Kostantinos Kavafis
recluso in questa tetra periferia sfiorita della mente qualunque?
Dovunque guardi vedo solo macerie nere della mia vita.
Sono tanti anni, tanti, che sono qui,
spendere e spandere, senza un costrutto.
Kostantinos Kavafis
LOOSE GOOGLE TELEVISION
Su questi/o schermi/o, giù giù a destra, click here on video, please, in fondo tutte le Televisioni possibili, insubordinate sciolte in rete, demenziali q.b., cucina inculturale.
sabato 28 luglio 2007
Al cuore soltanto affidi la beffa
“… Ma io ho nostalgia delle cose impossibili, voglio tornare indietro. Domani mi licenzio, e bevo e vedo chimere e sento scomparire lontane cose e vicine”.
Beppe Salvia vs Guido Galeno
Beppe Salvia vs Guido Galeno
4.
"Io scrivo di notte, mi suggerisco che scrivere. Io vivo in quei fogli davanti. Mi piacciono bianchi, mi piacciono scritti. Mi piace se canta Lydia Lunch o Vittoria Spivey. Non sono ordinato. Le mie righe lo sono. Dipinte le une alle altre. Perché è peccato sciupare una notte per non dire che il vero. Il mio mestiere l’ho appreso soltanto da me. Io distinguo due cose nel buio. Io penso, e posso, ordinatamente, contraffare tutto che mi circonda. Io ricordo, e d’ogni memoria niente mi è possibile mutare. Questo v’insegno: v’è arte e seppiatela usare; è possibile altrimenti sapere di sé, a tal modo affranti che il dolore ormai tutto comprendendo. Al cuore soltanto affidi la beffa sua più bella e più misera, dimenticare”.