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domenica 29 luglio 2007

Justine d'Alessandria


Piaghe come stagni, l'incubazione di una miseria umana di proporzioni tali da raggelare il sangue, da mutare in disgusto e orrore l'eccesso dei sentimenti umani. Avrei voluto poter imitare la sicurezza immediata con la quale Justine dirigeva i suoi passi lungo queste strade diretta al caffè dove io ero ad attenderla: El Bab. L'ingresso accanto all'arco sbrecciato dove siedevamo a parlare in tutta innocenza; ma già la nostra conversazione era gravida di intese che interpretavamo come i felici sintomi di una semplice amicizia incipiente. Su quel pavimento di fango color perso, con la sensazione che il cilindro della terra raffreddandosi rapidamente precipitava verso il buio, eravamo posseduti unicamente dal desiderio di comunicarci idee ed esperienze oltre i limiti di pensiero normali a una ordinaria conversazione tra gente comune. Parlava da uomo, e io parlavo a lei da uomo. Di queste conversazioni ricordo soltanto il peso e l'andamento, non la sostanza. E appoggiato a un gomito distratto, bevendo un arak da pochi soldi e sorridendole, respiravo il tiepido profumo estivo delle sue vesti e della sua pelle, un profumo che si chiamava, chi sa perché, Jamais de la vie.
Lawrence Durrell, Justine, Feltrinelli, p.23

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