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venerdì 7 settembre 2007

ai professionisti della ricerca

E' come all'Università che si studia sui libri come massima tecnologia per la diffusione del sapere, e la sua creazione, tollerando internet con la sua disinformazione/confusione. L'interattività e il capovolgimento dei paradigmi creati continuamente dal Digitale sono una bestialità intollerabile. La stessa scuola attiva novecentesca è al massimo una sinecura dei "formatori" per allevare i bimbi e gli scolari.



vedi M.Augè, allora

il mio sogno è realizzare un'utopia dell'educazione: progressiva e che abbia per oggetto lo sviluppo dell'individuo. Sento già le obiezioni: « Bella idea, ma come realizzarla? Gran parte del bilanci pubblici è già dedicata all'educazione». Obiezioni come questa non hanno senso. L'accusa d'irrealismo è una tenaglia che stronca sul nascere qualsiasi proposta di rinnovamento radicale.Mentre l'ignoranza, in questo inizio di XXI secolo, è progredita.
Più esattamente, cresce continuamente il divario tra i saperi specializzati e la cultura media di coloro che non sanno. Forse - obietta qualcuno - non sarebbe neppure il caso di dirlo, per non spaventare, È vero: le parole fanno,più paura dei fatti. Ma il mondo in cui viviamo non è così pudico da richiedere di tacere un fatto enorme e determinante per l'avvenire dell'umanità, e cioè che più la scienza progredisce,meno si spartisce fra tutti.
Non è sufficiente constatare che i saperi tradizionali si perdono perché non hanno più alcuna ragione d'essere: bisogna aggiungere che il fenomeno non comporta l'accesso a nuovi saperi, casomai il contrario. Succede lo stesso in campo linguistico: non basta deplorare la scomparsa delle diversità idiomatiche, occorre anche dire che a essa non corrisponde una maggiore conoscenza delle lingue principali. Il risultato è l'infermità linguistica, espressione tragica del legame tra perdita del passato e chiusura dell'avvenire.
È proprio nel campo della conoscenza che diventa più profondo il divario tra Paesi sviluppati e sottosviluppati. La maggior parte del mondo è incapace di comprendere la posta in gioco nella ricerca scientifica. Fenomeni come la fuga di cervelli verso le università americane, o l'esistenza di settori scientifici di punta in Paesi per altri versi sottosviluppati,
come quelli asiatici, non cambiano nulla: la linea di demarcazione tra conoscenza e ignoranza attraversa gli Stati sviluppati. Il giornale Le Monde ha dato risalto a una ricerca dell'agenzia governativa Usa National Science Foundation, secondo cui solo metà degli americani sa che occorre un anno perché la Terra giri intorno al Sole. Secondo altri studi, la maggior parte di essi crede ai miracoli, la metà ai fantasmi e un terzo all'astrologia. In questo contesto, si spiega !'incalzare dei creazionisti nelle università.
Gli studenti più brillanti degli atenei Usa sono asiatici (dal '99, nei corsi d'ingegneria gli stranieri hanno superato gli americani), ma Io sviluppo scientifico in Asia porta
con sé considerevoli disuguaglianze. E le situazioni africana e mediorientale sono ancora più disperate. Più vicino a noi, basta guardare le differenze tra quartieri senza grandi problemi e quartieri difficili, tra élite e classi sfavorite. Il sistema scolastico non crea uguaglianza, bensì riproduce disuguaglianza.
Su scala mondiale, c'è un abisso tra chi ragiona sulle grandi ipotesi - dalla costituzione dell'universo all'apparizione della vita - e chi non ha nemmeno accesso all'alfabetizzazione. Inoltre, poiché il patrimonio filosofico dell'umanità è spesso ostaggio della violenza, dell'ingiustizia e della diseguaglianza, si arrocca su forme religiose
più o menorozzee intolleranti.
Come invertire la tendenza? Non con un colpo di bacchetta magica, né con le preghiere. L'utopia vera, oggi, è l'educazione. Se l'umanità fosse eroica, si accontenterebbe di sapere che la conoscenza è il suo fine ultimo. Se fosse generosa, comprenderebbe che la divisione dei beni è la soluzione più economica, come dice Marcel Mauss in Saggio sul dono (Einaudi).Se fosse cosciente di se stessa,non lascerebbe che il gioco dei poteri arrivi a oscurare l'ideale della conoscenza. Ma l'umanità, come tale, non esiste: non ci sono che uomini, e cioè società,gruppi, poteri... e individui. II paradosso è che, al sommodi questo stato di diversità e d'ineguaglianza,si realizza la mondializzazione.I più oppressi degli oppressi hanno coscienza di appartenere allo stesso mondo dei più ricchi e potenti, e e viceversa. Mai gli uomini sono stati in una situazione migliore per pensarsi come umanità, e mai l'idea di uomo generico è stata tanto presente nelle coscienze individuali. D'altro canto, non sono mai state così forti le tensioni
dovute alle differenze di potere e di ricchezza,o all'invadenza degli schemi culturali totalitari. Eroismo,generosità, coscienza non sono assenti dai gruppi umani: esistono, ma si mescolano ai rapporti di forza, alle necessità del presente,alle pigrizie.
Occorre domandarsi se l'utopia di un mondo senza dei, senza pauree ingiustizie, in grado di assicurare il benessere di tutti e di consacrarsi all'avventura della scienza, ha ancora una qualche forza mobilizzatrice. L'avvenire del pianeta non può configurarsi come quello di un'élite più o meno ristretta. Se l'ideale della ricerca, della scoperta, dell'avventura riuscirà a diventare l'unico, le conseguenzenon saranno di poco conto. La questione delle finalità dovrà essere esplicitamente posta e risolta. In una società
governata dal solo ideale di ricerca, non si possono tollerare né disuguaglianza né povertà; le ingiustizie sociali sono intellettualmente ridicole, economicamente svantaggiose
e scientificamente pregiudizievoli.
L'utopia da costruire e da realizzare - quella che può orientare sia i differenti tipi di scienze sia gli osservatori del sociale, gli artisti, gli economisti - è l'utopia di un'educazione per tutti, tanto necessaria alla scienza quanto alla società.Dunque, ai professionisti della ricerca e dell'insegnamento va ricordato che il progresso scientifico dipende in larga parte dalla rivoluzione sociale dei loro settori.
Un'utopia dell'educazione può definirsi solo come un'utopia pratica e riformista, anche se questi termini sembrano in contraddizione.Essa non potrà certamente nascere da un
qualunque desiderio di governare in nome del sapere. Il sapere, al contrario dell'ideologia,non è una totalità né un punto di partenza. Si tratta di governare in vista del sapere, di assegnarsi il sapere come fine individuale e collettivo.Si tratta, infine, di fare una ra
gionevole commessa: il giorno che sacrificheremo tutto al sapere, avremo, oltre ad esso, iustizia e ricchezza.
(Testimonianza raccoltada F.Frediani)
18AGOSTO2007

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